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Sport da Combattimento

Sport e formazione della persona

di 18 Maggio 2013Aprile 25th, 2019No Comments

Lorenzo Mosca è stato relatore alla conferenza, tenutasi alla Facoltà di Economia dell’Università “La Sapienza” di Roma, dal tema “Sport da Combattimento e formazione della persona“.
Ringraziando Antonio Martino, organizzatore e presentatore del suo opuscolo “Superamento”, a Sonja Mirabelli, altra grande relatrice, pubblichiamo l’intervento integrale di Lorenzo Mosca:
Il mio discorso vuole articolarsi partendo da due semplice domande: cos’è lo sport? Come può formare la persona una sport da combattimento?

Cercherò di rispondere a questi quesiti in maniera induttiva, ossia partendo dalla vita reale fino ad arrivare alla formulazione di regole quanto più possibile universali. Ovviamente, ed è questo il motivo per cui sono qui, parlerò della mia esperienza.
Prendiamo un piccolo paese in provincia di Ascoli Piceno. Prendiamo un ragazzo di sedici anni nel pieno della sua adolescenza il quale, notata ampiamente la sua inadeguatezza con il gioco del calcio, solo sport praticato nel suo paese, tentando di togliersi dei rotolini di ciccia non proprio amati, decise di entrare in una palestra, con la vaga idea di “fare pesi” e mettere su un fisico decente.
Rimanendo però colpito da una locandina in cui si pubblicizzava un corso di Kick Boxing. Allora, questo giovane ragazzo, motivato dalla prospettiva di una attività che “faceva figo”, come si vedeva nei film, decise di iscriversi. Entrato così alla chetichella in questo nuovo mondo, e considerando anche il fatto che era goffo e non proprio magrolino, si metteva sempre in disparte nell’affollata sala, cercando di copiare gli altri ragazzi, più esperti e grandi di lui. Ovviamente guardava con un misto di rispetto e timore coloro che combattevano sul ring, essendo anche sicuro che mai una simile prova potesse minimamente toccarlo.
Ma, essendo anche una persona che metteva impegno e determinazione nelle proprie scelte, sostenuto e supportato dai proprio genitori che lo accompagnavano in macchina dal paese alla palestra della città, il ragazzo iniziò ad allenarsi con costanza.
E, come per un miracolo inatteso e (apparentemente) inspiegabile, assieme a grandi fatiche ed epiche sudate, si notavano dei miglioramenti. Dapprima dal punto di vista fisico, sia coordinativo che organico muscolare. Eppure questi piccoli ma significativi progressi, iniziarono a costruire una certa consapevolezza del proprio corpo, del suo funzionamento e delle proprie capacità. In quel preciso momento la pratica sportiva diventava formazione, ossia rifletteva i propri avanzamenti non solo nel corpo, ma anche nella mente e nello spirito.
Tuttavia, dato per scontato che ogni sport sia formativo, gli sport da combattimento amplificano esponenzialmente questi sviluppi. Il motivo di questa affermazione è semplice quanto sostanziale: in questo caso vi è di mezzo un combattimento.
La prestazione di questi sport, il traguardo massimo per chi intraprende la carriera agonistica, è salire su quel celeberrimo quadrato. In questo piccolo spazio delimitato da tre corde la vera natura di ogni uomo esce allo scoperto, in maniera diretta e brutale come un pugno in faccia. Non si può barare sul ring, non si può mostrare ciò che non si è, tutto esce irrimediabilmente allo scoperto. E solo lì che si conosce nella maniera più profonda il proprio io, perché solo una situazione di reale pericolo si vede in maniera lampante la parte più profonda dell’uomo. Come mai tutto ciò?
Proviamo a tornare al nostro ragazzo che ha iniziato ad allenarsi da un po’ di tempo. Dopo un paio di anni, cosa che lui non si sarebbe mai sognato all’inizio, il proprio allenatore gli propose un piccolo combattimento a contatto leggero, in cui il contatto dei colpi doveva essere controllato. E qui successe una cosa strana e per lui nuova. Nonostante avesse accettato subito, contento e inorgoglito per la decisione, inizio a sentire “qualcosa” nello stomaco, dapprima il fastidio era piccolo e poi cresceva, via via che la gara si avvicinava e il suo cervello pensava sempre di più all’evento. Era una cosa che chiamiamo paura. Se, come è oramai appurato dalla letteratura scientifica occidentale, dopo che alcune filosofie orientali lo predicavano da millenni, l’apparato intestinale è un secondo cervello, e vi è una relazione strettissima tra i due organi, questo esempio non fa che dare manforte a questa tesi. Perché questa paura? Perché il cervello percepisce il pericolo insito in una prova del genere, e l’ansia viene trasformata e metabolizzata in un effetto.
Di quella prima gara i ricordi rimangono confusi, ed il giovane ricordava solo che aveva vinto il primo combattimento e poi aveva perso il secondo contro un ragazzo mancino, e da quella volta i mancini divennero la propria bestia nera.
Tuttavia quell’esperienza, la novità del combattimento, il confrontarsi con un’altra persona sul quadrato di gara, non gli erano affatto dispiaciuta. Ergo, dopo pochi mesi, accetto di nuovo di partecipare ai campionati italiani di kick boxing, nella categoria juniores a contatto leggero. Lunga trasferta in terra toscana, ad Aulla precisamente, e lunga giornata di attesa in un grande palazzetto dello sport con centinaia di atleti. Alla sera, guarda caso, ancora il mancino dell’altra volta. Stavolta però, con un tattica più attendista, aspettando gli attacchi e poi contrattaccando in maniera più rapida, il nostro ragazzo portò a casa la vittoria e la sua bella cintura di campione italiano.
A questo punto, raggiunta la maggiore età, venne il tempo di combattere a contatto pieno, ossia senza alcun controllo dei colpi e potendo anche vincere, o perdere, per knock out.
Se negli altri casi si era manifestato quel famoso fastidio allo stomaco, questa volta, a causa del maggior rischio insito nel combattimento, in cui ci si poteva fare molto più male, il fastidio era diventato vero malessere. Più si avvicinava il giorno del combattimento, più il pensiero si faceva opprimente. Bloccava lo stomaco, faceva perdere l’appetito, e inibiva qualsiasi manifestazione di gioia. Ma in fondo, chi glielo faceva fare di combattere anche se poteva tranquillamente rifiutare e risparmiarsi quel malessere?
A questo punto introduciamo un nuovo concetto nel nostro discorso, che rappresenta il motivo profondo della scelta di salire sul ring, mettersi totalmente in gioco e affrontare un avversario a suon di calci e pugni. Stiamo parlando di etica.
L’etica rappresenta il senso del dovere, quelle azioni, quelle attitudini, quegli atteggiamenti, che ognuno è chiamato a compiere per effettuare il proprio cammino di formazione, adempiendo così la propria missione terrestre.
Quel ragazzo sentiva verso il suo sport e verso il combattimento, che stava facendo la cosa giusta. Nonostante tutto. Capiva, in maniera forse un po’ vaga e fumosa, che quello era il proprio dovere di uomo. Quel primo match a contatto pieno, disputato in una discoteca in provincia di Viterbo, rimase sempre ben impresso nei propri ricordi. L’ignoto, la tensione che si trasformò in paura quando vide il proprio avversario tirare colpi fortissimi durante il riscaldamento, la salita sul ring, l’autentica rissa tutto cuore e poco cervello, il fiato che si volatilizzò dopo pochissimo, le urla del pubblico, il verdetto di parità. Quando scese dal ring quel tempo gli sembrò essere durato una manciata di secondi, e ci volle parecchio, con l’aiuto delle riprese video, per rendersi davvero conto si ciò che era avvenuto. Però era fatta, aveva combattuto, aveva superato la sua prova, era soddisfatto e orgoglioso di se.
Nei mesi successivi accettò di nuovo di tornare a combattere, e, oltre che coi propria avversari, dovette affrontare la propria paura. Ogni volta un blocco allo stomaco, e il solito pensiero fisso nella mente. Vi erano momenti in cui pensava se fosse il caso di lasciar perdere. Però dentro di sé sapeva che doveva farlo.
Poi, sarà stato il quinto o sesto match, accadde qualcosa di apparentemente inspiegabile. Entrando nello spogliatoio prima della gara, mentre gli altri ragazzi stemperavano l’attesa scherzando tra di loro, anche lui si unì all’atmosfera goliardica. Lui che era sempre stato incapace di sorridere prima di ogni combattimento, troppo concentrato e con quel magone allo stomaco, adesso riusciva a farlo. Il magone non c’era più. In quel preciso istante quel giovane diciannovenne capì di non essere più lo stesso. Aveva vinto la propria paura. Era maturato.
Cos’è questo se non formazione della persona?
Sottoposto ad un livello di stress psicofisico elevato, dopo un periodo iniziale di blocco, si era verificato un cambiamento sostanziale nell’approccio mentale e spirituale al pericolo. Si era più preparati ad affrontarlo rimanendo il più possibile lucidi. Da causa di annebbiamento psichico, l’adrenalina era diventata fattore di estrema lucidità e concentrazione.
Come la razionalità permette di valutare, analizzare e decidere in maniera rapida ed efficace in una situazione di combattimento, caratteristica che nella maggior parte dei casi differenzia il vincitore dallo sconfitto, così, per una fondamentale capacità transitiva che appartiene all’uomo, questa dote si trasferisce alle altre situazioni della vita.
Il pericolo diventa stimolo, lo stimolo diventa adattamento, l’adattamento diventa formazione.
Nel frattempo arrivò la maturità scientifica e, per assecondare la sua passione per la storia e la sua ammirazione per la città eterna e per il suo glorioso passato, venne il trasferimento a Roma per iscriversi all’università.
Qui il nostro protagonista si iscrisse in una nuova palestra, su consiglio del suo vecchio allenatore, e continuò ad allenarsi.
Dovette, per forza di cose, rimettersi in gioco, catapultato in mezzo a gente che non conosceva ed in cui c’erano fighters molto più forti di coloro che aveva incontrato sino ad allora. E così fece. La sua vita adesso si alternava tra due grandi priorità: l’università e lo sport. Si allenava portando con sé il libro per l’esame che divorava voracemente durante il tragitto in autobus e nelle pause prima di iniziare l’allenamento. Il suo nuovo allenatore iniziò a soprannominarlo “prof”. Aveva ottenuto anche il suo nome di battaglia.
In questo modo arrivarono anche i primi veri successi. Le prime belle vittorie. Il duro allenamento in palestra, la maggiore forza psicologica e il suo stile di combattimento, che lo portavano a prediligere il contrattacco e lo stile di rimessa, lo portarono ad avanzare di livello sino a combattere senza protezioni come un professionista.
Era come se ogni combattimento aggiungesse alla sua personalità un pezzo di armatura e, con questa corazza, affrontasse la vita proprio come affrontava un avversario sul ring: lucido e forte della propria sicurezza e dei propri mezzi.
Sicuramente il più grande successo della sua carriera agonistica, ancora più della chiamata nella nazionale italiana di K-1 con la conquista della medaglia di bronzo agli europei 2008, fu il titolo italiano professionisti a dicembre 2009.
Fu un combattimento che si potrebbe definire epico, anche perché combattuto in un locale della capitale gremito sino all’inverosimile tanto da sembrare lo stadio Lumpini di Bangkok. Nessuno dei due fighters voleva rinunciare a fregiarsi di quel titolo, a maggior ragione davanti al proprio pubblico.
Più il combattimento proseguiva per tutte e 5 le lunghissime riprese, con continui capovolgimenti di fronte, più il pubblico letteralmente si infiammava e inondava il salone di urla e incitazioni furiose. Il ring divenne una bolgia. Al verdetto, mentre l’arbitro gli alzava il braccio decretando il nuovo campione italiano, il nostro protagonista non esultò eccessivamente e andò subito a onorare il proprio rivale. Questo perché, altro grande insegnamento degli sport da combattimento, il profondo rispetto dell’avversario rimane una conditio sine qua non.
Non solo per manifestare ammirazione per aver affrontato la nostra stessa sfida, ma anche per un motivo più profondo e filosofico. Perché è solo grazie al nostro avversario che possiamo dimostrare il nostro valore e anzi, più esso è forte e più il valore della nostra vittoria aumenterà.
Con questo racconto ho voluto portare il mio contributo alla comprensione degli aspetti formativi degli sport da combattimento. Così come avevo fatto all’inizio, adesso voglio lasciarvi con due domande (ovviamente retoriche) che spero siamo state chiarite per tutti: il nostro protagonista, dopo oltre 15 anni di sport da combattimento a livello agonistico, sarà rimasto la stessa persona dell’inizio? E inoltre il nostro protagonista, se avesse fatto 15 anni di sala pesi invece della Kick Boxing, sarebbe maturato allo stesso modo?


Lorenzo Mosca

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Lorenzo Mosca

Con un passato agonistico nella Kickboxing una laurea con lode in Storia Contemporanea ed una in Nutrizione Umana, svolgo la mia attività di allenatore di CrossFit 2° livello e biologo nutrizionista. Dal "secolo scorso" ad oggi la mia passione per lo sport e per la conoscenza mi ha spinto a sperimentare ed affrontare nuove sfide. Sempre.